PROIEZIONE FILM: “LA PLANÈTE SAUVAGE”

Giovedí 9 febbraio ore 21.00 al nuovo spazio occupato “ACerchiata” a Bologna proiezione del film:

LA PLANÈTE SAUVAGE (1973) Roland Topor//René Laloux

a cura del Collettivo Cannibale

Sotto la lente di una fantascienza psichedelica e di un immaginario surrealista, le planète sauvage racconta una delle prime realtà distopiche è antispeciste della storia dell’animazione e del cinema. Frutto dell’incontro tra vari artisti (musicisti, pittore, regista e animatori) il lungometraggio animato descrive un universo perturbante in cui una specie sottomessa cerca, sottilmente, la propria libertà dai propri “giganti” padroni.

NEI PROSSIMI GIORNI ALL’ACERCHIATA


LUNEDÌ E MARTEDÌ

Ore 8:00 Colazione cinica
Ore 9:00 Allestimento spazio e sala studio
Ore 13:00 Pranzo bellavita
Ore 15:00 Allestimento spazio, sala studio e socialità fino alle 20:00

MERCOLEDÌ

Dalle 16:00 alle 18:00 Peluqueria rebelde per capelli indisciplinati
Dalle 20:00 alle 22:00 Assemblea collettivo antipsichiatrico Strappi

GIOVEDÌ

Ore 18:00 introduzione al suono digitale e ad Ableton live
Ore 20:00 Presentazione FabLab
Dalle 21:00 alle 23:00 Proiezione film a cura del Collettivo Cannibale

Lo spazio si trova in via Zampieri 14/A

Programma, info e dettagli in aggiornamento

IL CIELO IN UNA STANZA

Oggi riapriamo l’Acerchiata, il locale di via Zampieri 14/a. 
Uno dei tanti locali che è stato lasciato murato per nove anni da ACER, la stessa istituzione che nel 2021  ha sgomberato l’occupazione abitativa di via Zampieri a due giorni da Natale vantandosi della politica “zero occupazioni” in tempi di piena crisi abitativa in città.
Pochi giorni fa il suo presidente, Marco Bertuzzi, ha dichiarato di voler aprire un “Museo delle Case Popolari” all’interno di un vecchio deposito in disuso in Bolognina, il quartiere che la giunta PD da anni sta offrendo in pasto a palazzinari e speculatori, favorendo processi di gentrificazione. Un’amministrazione che prova ad espellere migranti, poveri e soggettività ritenute indecorose per un quartiere considerato strategico, che deve essere sempre meno radicale e più radical-chic.
Cambiano presidenze e giunte, ma le politiche restano le stesse: combatti e sgombera le comunità che quel quartiere lo abitano da decenni, e della loro storia fanne un museo. 
La memoria però è un ingranaggio collettivo, e la storia “sociale” di una città la fanno la comunità e gli spazi che quella storia l’hanno creata e vissuta.
L’indirizzo politico che stanno cercando di imporci è rendere impossibili  altre modalità di abitare e vivere il quartiere.
In questo spazio oggi rientra la comunità carica di rabbia e amore che ha animato Via Stalingrado 31, una collettività che vuole costruire un mondo di ugual* e liber* attraverso l’aggregazione, la socialità e la solidarietà dal basso.
In questa giornata di azioni in solidarietá alla lotta di Alfredo contro il regime del 41 bis, diamo il nostro supporto con le nostre pratiche: riapriamo uno spazio per noi e per il quartiere, contro chi ci vuole addomesticare e chiudere la bocca, contro chi specula facendo guerra ai poveri, per immaginare e costruire insieme nuove resistenze e liberazioni.

PRESIDIO. FUORI MILITARI E POLIZIA DAI QUARTIERI

In questi giorni la Bolognina e diverse zone della città sono state teatro di maxi retate da parte delle forze dell’ordine, retate che continuano a protrarsi anche in queste ore. Un’operazione muscolare, con ampio dispiegamento di uomini e mezzi, con controlli e fermi indiscriminati.
È l’esito del patto integrato sulla sicurezza tra Prefettura e Comune di Bologna siglato il 21 gennaio con la benedizione del Ministro dell’Interno Piantedosi, che per l’occasione ha affermato “Lo Stato c’è e si deve vedere”.
Militari, polizia, carabinieri, finanza, unità cinofile e reparti speciali, lungo le strade, sotto i portici, alle fermate, dentro i bar. Questi interventi hanno lo scopo di ripulire il quartiere da tutte quelle persone scomode alla città vetrina creando un cilma di paura e tensione e alimentando discriminazioni di classe, genere e razza.

E’ urgente rispondere a quello che è un vero e proprio attacco ai nostri quartieri. L’arroganza con cui la deriva securitaria si sta abbattendo sulle città ci riguarda tutte.

Riprendiamoci le strade, perché la sicurezza la facciamo noi, non la polizia!

Presidio giovedì 2 febbraio alle 18 in Piazza dell’Unità.

CORTEO A PADOVA CONTRO IL RAZZISMO ISTITUZIONALE, GLI ABUSI DI POLIZIA, I CPR, PER OUSSAMA E PER TUTTƏ!

RILANCIAMO L’APPELLO PER UNA MOBILITAZIONE NAZIONALE CONTRO IL RAZZISMO ISTITUZIONALE, GLI ABUSI DI POLIZIA, I CPR, PER CHIEDERE VERITA’ E GIUSTIZIA PER OUSSAMA E PER TUTTƏ!

SABATO 28 GENNAIO 2023 – ORE 14 CORTEO DALLA STAZIONE CENTRALE DI PADOVA

Link: Coordinamento antirazzista italiano

Striscione a Torino
Striscione a Bologna

Giustizia e verità per Oussama Ben Rebha

Qui si annegano gli immigrati
…ancora

Il controllo selettivo e razziale sui pullman, nelle strade, nelle piazze, nelle stazioni e nella società in generale è un dato di fatto che nessuno può più negare. Essere privi dei documenti vuol dire subire un’ulteriore esposizione agli abusi di polizia, ricatti sul posto di lavoro e in molti casi si traduce in deportazione nei centri per il rimpatrio che sono delle vere e proprie galere nelle quali si registrano sempre più casi di suicidio. Alcuni casi recenti di cronaca, raccontati dalla stampa locale, sono esempi di come indifferenza, razzismo e esclusione sociale siano un fenomeni pervasivi e strutturali.

5 aprile 2021 Fares Shgater muore annegato nel Fosso Reale a Livorno.
4 giugno 2021 KhadimKhole muore annegato nel Brenta.
10 gennaio 2023 Oussama Ben Rebha muore annegato nel Brenta.

Tragedie diverse eppure troppo simili perché si tratti di mere coincidenze: Fares, Khadim e Oussama erano tre ragazzi giovani e razzializzati, alcuni portavano lo stigma della “clandestinità” e della criminalizzazione, tutti quello della marginalizzazione, e tutti e tre sono morti annegati in presenza della polizia.

Fares aveva 25 anni ed era in Italia da soli 6 mesi. Il 25 aprile del 2021 passeggiava solo per la città. È stato fermato dalle forze dell’ordine, e poco dopo ha perso la vita annegando nella fossa Reale. “Muore fuggendo dalla polizia” dicono i giornali. Le persone a lui vicine si muovono per chiedere giustizia. Testimonianze dicono: “Fares è stato picchiato e buttato, non si è gettato da solo”. Amici sostengono che non si sarebbe mai buttato per sfuggire al controllo, dato che non sapeva nuotare. Vengono richieste le registrazioni della zona, si organizzano presidi. Nulla accade. La vicenda viene silenziata. Il sindaco descrive ogni riferimento al coinvolgimento diretto delle forze dell’ordine come “strumentalizzazione da avvoltoi”.

Khadim Khole era un ragazzo di origini senegalesi, nato e cresciuto in Italia. Il 4 giugno 2021 la polizia viene chiamata in seguito ad un furto in un minimarket, poco dopo muore annegato nel Brenta.

E’ appena iniziato il 2023 e assistiamo alla tragica morte di Oussama Ben Rebha, giovane tunisino di soli 23 anni.Il suo corpo è stato raccolto dal Brenta da dei sommozzatori. Sono le 15:00 del 10 gennaio quando Oussama e i suoi amici vengono fermati dalla polizia per un controllo. Secondo la Questura, alla vista degli agenti che lo avevano fermato, Oussama si sarebbe messo a correre, aggredendo un agente. Sempre secondo la polizia, poco dopo, si sarebbe buttato nel Brenta. Un’amica rilascia una testimonianza: “Lo hanno picchiato, non è vero quello che hanno scritto”. L’amica, che ha assistito in videochiamata, dice che Oussama è stato gettato nel fiume.

Così ci trattano e non è il primo”

L’autopsia viene disposta sette giorni dopo, troppi per evidenziare segni di violenza. La PM, Luisa Rossi, ad oggi non ha fatto richiesta di visionare le immagini riprese dalle videocamere.

Siamo più carta che carne.

Il corpo è fatto di documenti, di carte assenti e presenti, che permettono o negano diattraversare quei confini che si confermano come un valore assoluto, intriso di eurocentrismo e colonialità. Quegli stessi confini rappresentano una sfida per gli uomini e le donne libere che vengono da ex paesi colonizzati.

Queste morti tragiche dalle dinamiche incerte provocano il ricordo di una violenza storica già subita dagli algerini di Francia. Il 17 ottobre del 1961 una manifestazione di massa di donne, uomini e bambini cerca di attraversare le strade di Parigi per l’indipendenza dell’Algeria e contro il coprifuoco imposto ai francesi musulmani d’Algeria. Un coprifuoco che utilizzava la profilazione razziale come strumento di controllo dei cittadini Nordafricani. Una violenta repressione poliziesca cercò di impedire la manifestazione ricorrendo ad armi da fuoco, bastoni e manganelli. Ici on noie les algériens, la scritta che comparve sul ponte, come parole di una lapide.

Quasi 200 algerini vengono assassinati e gettati nella Senna, in molti casi ancora vivi e con mani e piedi legati. Molti corpi iniziarono a riemergere dal fiume solo nei giorni seguenti. L’ autorità, come da routine nei regimi coloniali, negò il massacro e insabbiò la storia. Solo la memoria dei discendenti delle vittime e il lavoro di alcuni attivisti e storici, come Jean-Luc Einaudi (1991), hanno fatto riemergere dai fondali della Senna la Verità che non può annegare. Il caso di Oussama e tutte le altre morti per annegamento avvenute in circostanze dubbie, come le morti nei Cpr e sui posti di lavoro, le vite ingoiate nel mediterraneo, gridano Verità e Giustizia.

Sta a noi raccogliere questo grido, sentirlo nostro.

A pochi mesi dalla tragica morte di Alika Ogorchukwu torniamo in piazza a manifestare la nostra rabbia. Siamo nuovamente nella condizione di dover rivendicare ciò che nessuno farà per noi, pretendere giustizia e verità per Oussama Ben Rebha e per tutt, perché la nostra dignità di persone razzializzate passa attraverso la solidarietà alle famiglie e alle comunità, a quella donna che non ha ricevuto condoglianze, a quel figlio che leggerà un giorno queste nostre parole, a suo padre che lo salutò con speranza dalla Tunisia e lo rivedrà rispedito come cartolina dei civilizzatori.

continua… https://coordinamentoantirazzista.wordpress.com/2023/01/22/28-gennaio-2023-ore-14-00-corteo-dalla-stazione-centrale-di-padova/

(al link l’appello del coordinamento antirazzista italiano e i riferimenti per  eventuali adesioni)

Per donare potete partecipare al crowdfunding in corso, il ricavato servirà a coprire spese mediche, legali e supporto alla famiglia.
Come causale “DONAZIONE PER OUSSAMA”
a: UniCredit – Longobardi Fiorentina
IT81W0200812140000420945209
oppure Paypal: 
fiorella.l@hotmail.it 

GIORNATA ANTIPSICHIATRICA: MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO

Siamo una rete di collettivi antipsichiatrici e singole persone da anni impegnate sul territorio a contrastare il ruolo sempre più ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, e i meccanismi attraverso i quali si espande sempre più capillarmente e trasversalmente al suo interno come strumento di controllo sociale.

Il 28 gennaio alle 10:00 saremo in presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza per portare il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə, e per contestare la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica – presente a Bologna unicamente all’interno del femminile. Nonostante infatti gli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) siano ufficialmente chiusi dal 2015, all’interno delle carceri italiane continuano ad essere presenti “repartini psichiatrici” per contenere e sedare quelle recluse e quei reclusi che non si adattano al contesto carcerario, che esprimono disagio, difficoltà emotive o squilibri durante la detenzione.


Perché esistono ancora sezioni psichiatriche in carcere se gli OPG sono stati chiusi?

Nel 2014 chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) il Ministero della Giustizia con una circolare del D.A.P. (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ha istituito le A.T.S.M. (Articolazioni Tutela Salute Mentale).
Bisogna sapere che la legge 81/2014 riserva agli autori di reato dichiarati “incapaci di intendere e di volere per infermità mentale” – definiti “folli rei” – un iter giudiziario diverso da quello destinato ai comuni, che prevede le Residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), istituite, appunto, dopo la chiusura degli OPG. In questo iter giudiziario la pericolosità sociale di derivazione manicomiale la fa ancora da padrona, ma non tutti però finiscono nelle Rems. Nello specifico le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono sezioni istituite nelle carceri per quelle detenute e quei detenuti con una valutazione psichiatrica sopravvenuta alla detenzione, quindi successiva al giudizio – definiti “rei folli” – e che non possono perciò accedere alle Rems, che prevedono inoltre già di per sé lunghe lista di attesa.  

Cambiano le parole ma non la sostanza, morto un OPG se ne fa un altro

Le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono luoghi di annichilimento della personalità che esasperano la sofferenza della detenzione con l’isolamento prolungato, la contenzione psicologica, fisica e farmacologica. Si tratta di strutture che non solo non hanno nulla di “terapeutico” ma che nascono proprio per la necessità dell’istituzione penitenziaria di contenere e sedare le intemperanze dei ristretti in relazione al contesto detentivo. Voragini su cui non vogliamo siano spenti i riflettori.
Direzione e medici all’interno delle ATSM possono mettere in atto proroghe in modo estremamente violento e discrezionale (30 giorni prorogabili che possono tradursi in mesi di isolamento), questo nonostante sulla carta, a seguito della sentenza 99/2019 della Consulta, sia prevista la possibilità che il giudice possa disporre che, la persona che durante la detenzione manifesti una “grave malattia di tipo psichico”, venga curata fuori dal carcere e quindi concederle, anche quando la pena residua sia superiore a 4 anni, la misura alternativa della detenzione “umanitaria” o in “deroga”, come già previsto per le persone detenute con gravi malattie fisiche.


Il carcere-manicomio

L’ambiente carcerario può essere terribilmente nocivo per coloro che sono sfornitə di strumenti adeguati. Le difficoltà evidenti di una vita “libera” fatta di precarietà, impoverimento di beni materiali, reti sociali e di conseguenza di qualità del vivere, depauperano anche quelle risorse soggettive utili ad affrontare l’impatto con una quotidianità come quella carceraria. Gli addetti ai lavori denominano con “sindrome da prigionizzazione” le profonde difficoltà, l’alienazione e la sofferenza che la detenzione può comportare. La solitudine, la fatiscenza strutturale degli ambienti, gli spazi freddi e ristretti, l’alto numero di reclusə, l’insalubrità del cibo, l’assenza di acqua e docce adeguate, gli psicofarmaci a profusione e, se va bene, la tachipirina per ogni esigenza, l’impossibilità ad accedere a prevenzione, visite specialistiche, nonché a seguire i propri percorsi terapeutici, esasperano la reclusione causando fragilità, menomazioni e patologie che spesso dal carcere si protraggono anche dopo la scarcerazione. Condizioni dove l’eccezione non è tanto la ‘malasanità’ ma trovare medici non conniventi con le guardie. Il non rispetto del principio di territorialità inoltre rende ancora più dura l’esperienza della detenzione.
 Una quotidianità carceraria che oltre ad essere priva di dignità umana è, post pandemia e post rivolte, sempre più soggetta a soprusi di ogni tipo: dalla potenziata discrezionalità di ogni singola Direzione carceraria e Sanitaria, all’abuso di potere delle guardie penitenziarie. Senza considerare che il timore dei contagi e delle conseguenti politiche di gestione da parte delle Direzioni continua a rappresentare una fonte di ansia per chi è reclusə, oltre che uno strumento di vessazione e ricatto. Non adattarsi può tradursi in chiusura in sé stessi nel tentativo estremo di individuare una via di fuga. Come “fughe”, in fondo, sono spesso i numerosi suicidi e i moltissimi gesti autolesivi che ogni giorno si susseguono nelle patrie galere. Nel 2022 sono state 84 le persone detenute che hanno scelto il suicidio e chissà quante l’hanno tentato. E questi sono i numeri ufficiali, spesso in difetto. Numeri che si uniscono ai segni indelebili lasciati dalle torture fisiche e psichiche, nonchè dai processi, seguiti alle rivolte del marzo 2020, rivolte soppresse con la morte di almeno 14 detenuti (quelli di cui si hanno riscontri ufficiali) e con le violentissime mattanze che non possiamo nè vogliamo dimenticare, un grido rimasto inascoltato. Le disposizioni decise dall’amministrazione penitenziaria per “arginare” il pericolo dei contagi si tradussero nel 2020 nel totale isolamento delle persone detenute dal resto del mondo. Una quotidianità rinchiusa nelle celle, sempre però sovraffollate, poiché tutte le attività furono sospese. Niente colloqui con i familiari, impediti gli ingressi a qualsiasi operatore esterno. I criteri che caratterizzano il regime del 41bis furono estesi, di fatto, a tutte le sezioni presenti nelle carceri, così come la stessa norma prevede qualora lo Stato lo ritenga opportuno. In piena emergenza sanitaria, infatti, si decise di sottoporre interi reparti a molte delle rigide regole previste per questo regime piuttosto che adottare soluzioni volte alla riduzione del sovraffollamento e quindi ai rischi di contagio, sull’onda del più bieco e cinico giustizialismo che da anni caratterizza le politiche dei governanti di questo paese. In questi mesi il 41bis, regime di totale isolamento e di deprivazione sensoriale, da sempre presentato dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA) e dai maggiori organi di informazione come lo “strumento più efficace nella lotta alla mafia”, ha rivelato la sua vera essenza: una tortura normata. E ciò è stato possibile grazie alla drammatica scelta del compagno Alfredo Cospito che ha definito la quotidianità all’interno di quelle sezioni “una tomba per vivi” ed ha intrapreso, dal 20 ottobre 2022, uno sciopero della fame ad oltranza contro il 41bis e l’ergastolo ostativo, due “abomini del sistema penitenziario”. 

Per noi non si tratta di costruire altre sezioni o “repartini”, ma di svuotare quelli già esistenti

Quelli che parlano solo di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno riempite con le loro leggi razziste e liberticide: oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato “recupero sociale”). Questo grazie a leggi come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è certo il grande narcotraffico – un giro miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo così –  ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di profitto. Una caccia alle streghe che conferma la funzione primaria del carcere come strumento di governo e gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, volto al mantenimento dell’ordine attuale, fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità affinché il processo di accumulazione capitalista proceda senza soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza delle sfruttate e degli sfruttati, sempre un po’ più in là. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale viene duramente repressə, come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.

Bologna: il repartino psichiatrico femminile con la sezione “nido” accanto

A Bologna l’Articolazione Tutela Salute Mentale prevede cinque posti e coinvolge unicamente il femminile. La collocazione isolata degli ambienti e il numero esiguo delle recluse previste conferma gli aspetti di segregazione che caratterizzano la sezione. Ad oggi nonostante diverse pressioni per la chiusura dell’articolazione non solo questa è ancora aperta ma addirittura millantata sui giornali come esempio “pragmatico” da seguire ed estendere.
Nel 2020/2021 lavori di ristrutturazione ne avevano comportato la chiusura provvisoria, quindi il trasferimento delle detenute presenti in quel momento in “articolazioni analoghe fuori regione”. Tra queste vogliamo ricordare Isabella P., 37 anni, accusata di furto, estorsione e minaccia a pubblico ufficiale, morta il 15 febbraio 2021 nel carcere femminile di Pozzuoli a causa delle massicce dosi di psicofarmaci somministratele e dei trattamenti ricevuti. Sarebbe dovuta uscire nel 2026, era alla sua settima carcerazione. Era considerata una detenuta difficile. A 18 anni aveva subito il suo primo Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Gli stessi lavori di ristrutturazione che hanno visto trasferire Isabella hanno portato all’inaugurazione, a luglio 2021, della nuova “sezione nido”, tre celle adiacenti all’articolazione salute mentale per detenute madri con bambini fino a tre anni. Il Garante dei detenuti ha dichiarato di sentirsi “preoccupato” per l’apertura di questa sezione accanto ai locali dell’articolazione psichiatrica, dai quali, giorno e notte, uscirebbero “grida e lamenti”. Purtroppo nonostante la legge 62 del 2011 indichi in questi casi di favorire gli arresti domiciliari e /o la creazione di case famiglia protette, ad oggi rimane assente un concreto interessamento per il superamento anche di questi istituti.

Per questo invitiamo tuttə sabato 28 gennaio a Bologna e a Imola, per una giornata di lotta antipsichiatrica, approfondimento e scambio.

Assemblea antipsichiatrica

SABATO 28 GENNAIO GIORNATA ANTIPSICHIATRICA

Bologna

Alle 10:00 presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza per portare il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə, e per contestare la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica presente a Bologna unicamente all’interno del femminile – oltre che la recente sezione “nido”, istituita accanto.

Imola (Spazio autogestito Brigata Prociona)*

Alle 13:30 pranzo a cura del Vascello Vegano a sostegno della biblioteca antipsichiatrica del Collettivo Strappi 

Alle 18:00 presentazione del libro “Divieto di Infanzia. Psichiatria, controllo e profitto”.“Attualmente a scuola sono sempre di più i bambini che hanno diagnosi psichiatriche. L’attuale tendenza dell’insegnamento e della pedagogia è quella di farsi coadiuvare dalla neuropsichiatria ogni qualvolta una bambina o bambino disturba o contrasta i programmi formativi.” Ne parliamo con gli autori Chiara Gazzola e Sebastiano Ortu.

Alle 20:00 cena benefit per la nuova Cassa di solidarietà e mutuo soccorso antipsichiatrica

Alle 21:30 “The Jackson Pollock” live, duo Garage Punk dal sound esplosivo!

* Per raggiungere il Brigata in via Riccione 4 a Imola : dalla stazione uscire sul retro (lato via Serraglio) svoltare alla prima a sinistra (via Cesena) dopodichè la prima a destra è via Riccione.

 Link: Collettivo antipsichiatrico Strappi